Genere incesto Colazione con mio figlio

« Older   Newer »
  Share  
.Angel
view post Posted on 24/6/2009, 11:20




Colazione con mio figlio

Pensavo d’essere pronta, dopo qualche anno di separazione da mio marito, a rimettere in gioco i miei sentimenti, le mie aspettative e perché no, anche il mio corpo non certo inflazionato di quarantaquattrenne piacevole. Ho voluto provarci col collega, pure lui separato da qualche anno, distinto, curato, che ha saputo farmi una corte discreta.
Usa serata improntata all’imbarazzo, sguardi sfuggenti di due persone che quasi si chiedono che ci stanno a fare seduti a quel tavolo di ristorante; scelgo le portate meno costose e mi dichiaro astemia, per non fargli spendere più di tanto, perché già nell’attimo stesso in cui mi sono seduta sulla sua vettura, ho capito che fra di noi due non avrebbe funzionato.
Mi riaccompagna a casa, apre galantemente la portiera, scendo, ci guardiamo per una frazione di secondo entrambi intimiditi, colpevoli di niente, tuttavia impacciati. Mormoro una scusa, pure lui lo fa. Scusarsi di che, forse perché non è scattato nessun feeling? Succede, punto e basta! Però io so che mi colpevolizzerò per qualcosa che non ho mai commesso. O forse si? Nei reconditi anfratti della mente giace sepolta una fantasia incestuosa e non posso negare che da qualche tempo tento d’esumarla.
Sono le 23 passate da poco di quello stesso sabato sera, mio figlio diciassettenne è uscito pure lui con la fidanzatina, fanno coppia fissa fin dai tempi delle medie, mi ha detto di non stare in pensiero che rientrerà tardi; è un ragazzo assennato, non mi preoccupa.
Mi tolgo gonna e camicetta, mi sono vestita con molta semplicità senza curare i particolari e questo mi fa capire la mancanza d’entusiasmo che avevo riposto in quell’appuntamento; mi guardo posso affermare che non sono affatto da buttare. Allora che cos'è non funziona in me?
Mi son fatta la doccia prima di uscire, quindi non è il caso di rifarla, con un gesto connaturato, estremamente intimo mi passo un dito sul sesso, un brivido mi s’irradia per il corpo.
«Allora c’è davvero qualcosa che non va in me? Ero assieme ad un uomo, pure piacente, non devo rendere conto a nessuno di ciò che faccio e sono qui ad auto eccitarmi come una collegiale. Costerà molto una visita dallo psicanalista»? Rido di me stessa e penso che semmai se mi ritornerà la voglia, potrò farlo a letto, magari filosofando pure sul perché agisco in quel modo.
Fioca luce della abatjour, romanzo letto a metà senza particolare entusiasmo, i dodici rintocchi suonati da poco, rumore di chiave nella toppa, ho un breve soprassalto poi la voce di mio figlio:
«Sei già in casa, pensavo rientrassi tardi»?
«Pure io pensavo che tu facessi le ore piccole». Gli dico di rimando; mi
Adv
sembra un pochino affranto e mi dice quasi con rassegnazione:
«Ci ho provato con Chiara, mi sembrava fosse giunto il momento propizio d’andare oltre, capirai sono quattro anni che stiamo assieme, che ci baciamo e basta».
Mentre parla tiene gli occhi puntati sui miei seni privi di reggipetto che spiccano sotto il tessuto trasparente della camiciola, l’unico indumento che indosso per dormire.
Abbiamo molta confidenza, aumentata ancor più dopo la separazione, probabilmente s’è assunto il ruolo dell’uomo di casa; tuttavia non abbiamo mai approfondito l’argomento sesso. Forse dovremmo farlo, perché da un po’ di tempo noto che mi guarda in un dato modo, quasi spiandomi, come stamane mattina, quando ancora in accappatoio, stavo togliendomi lo smalto dalle unghie dei piedi e lui si è soffermato un attimo più del necessario a chiedermi un parere sul suo look, senza staccare però lo sguardo dal mio sesso, che non mi ero premurata di coprire. Avevo mentito a me stessa raccontandomi che l’avevo fatto per non metterci malizia ed invece mi è piaciuto quel suo sguardo velatamente bramoso, piaciuto al punto d’eccitarmi.
Qualche giorno prima avevo anche rinvenuto, ben nascoste fra le tante cose che tiene nella sua camera, un paio di mie mutandine che neppure ricordavo d’aver avuto. Chissà da quanto tempo le conservava. Feticismo o attrazione incestuosa? Non avevo voluto lambiccarmi, forse perché nella mia mente già avevo stabilito una complicità.
«Raccontami». Gli dico.
«Cosa vuoi che ti racconti, ogni volta la stessa cosa, possiamo baciarci all’infinito, io eccitato all’inverosimile e lei che si scosta se solo aderisco a lei. Adesso però vado in bagno».
«A fare che»? Gli chiedo stupidamente.
«Indovina un po’»? Termina non staccando gli occhi dal mio petto.
«Dai mamma, devo andare»!
«Capisco gioia. Vai».
Domenica mattina, le nove e trenta circa, con ancora la camicia da notte sto iniziando a darmi lo smalto sulle unghie dei piedi, intanto rifletto sul fatto che non mi ero curata di farlo il giorno prima per recarmi all’appuntamento, segno evidente che a livello inconscio sapevo che non mi sarei denudata.
Non ho ancora fatto toilette, però sono riposata anche se scarmigliata e mi sto contorcendo, per eseguire la complicata operazione, entra mio figlio, ha indosso i boxer e basta e subito il mio sguardo capta il gonfiore dei capezzoli, tipico dell’età puberale quando si scatena l’uragano degli ormoni. Non faccio neppure il falso tentativo di coprirmi, con che cosa poi, e quasi mi pento d’aver indossato le mutandine, avverto che mi avrebbe eccitato molto scorgere il suo sguardo incollato alle labbra gonfie, il taglio lungo, sottile con la strisciolina di peli che dal clitoride sale in su. Invece s’avvicina, mi bacia in fronte, mi sistema con le dita i capelli, poi mi fa una carezza e mi dice:
«Vado a lavarmi il viso poi t’aiuto nella complicata operazione di smaltatura». Torna e si siede sulla seggiola sopra la quale ho appoggiato il piede, che prende e s’incastra fra le gambe con la pianta a contatto della stoffa sottile delle mutande.
«L’ho imparato a scuola nell’ora d’officina, quando ci fanno incastrare il pezzo da limare nel morso di modo che rimanga fermo». Vorrebbe far sembrare quella frase una battuta, però la voce gli trema un po’ e contro la pianta del mio piede, un qualcosa che prima non c’era inizia a prender consistenza. Mi dipingo le unghie alla svelta, nel farlo mio muovo gioco forza il piede e m’accorgo che la sua eccitazione è cresciuta. Però non voglio, siamo in una posizione emotivamente precaria entrambi, basterebbe una mossa sbagliata per incrinare un meraviglioso rapporto.
M’aiuta ad inforcare le infradito senza che lo smalto le tocchi.
«Siediti che facciamo colazione, poi m’aiuti a preparare il pranzo». Gli dico, poi porto in bagno la boccettina dello smalto, mi risciacquo il viso velocemente mi pettino sommariamente e torno perché un fluido irresistibile mi trascina in cucina vicino a lui, decisa a infrangere il tabù dell’incesto. Solo però se lo vorrà pure lui.
Ha apparecchiato tavola con biscotti e marmellata e sta mettendo in funzione la macchina per l’espresso:
«Siedi che ti servo io, oggi sei il mio principino». Lo fa, io preparo i due cappuccini, poi standogli dietro, gli porgo la tazza, si gira e il suo viso è quasi a contatto con i miei seni:
«Aspetta che brucia». M’abbasso per appoggiare il recipiente e aiutandomi con la mano libera, quasi a voler mantenere l’equilibrio, le accosto la faccia alle mammelle, lo sento gemere però non prende alcuna iniziativa:
«Mi sarò mica sbagliata a pensare che anche lui lo voglia»? Preferisco soprassedere e vado a sedermi di fronte a lui, l’osservo e scorgo uno sguardo strano, come se in lui fossero sorti i miei stessi dubbi: la paura d’essersi confuso e che i miei gesti siano frutto della casualità.
Prende un biscotto, lo spezza in quattro parti e non so quanto incautamente le fa cadere a terra, scosta la tovaglia e s’inginocchia per raccattare i pezzi. È sotto il tavolo e capisco che sta guardandomi fra le cosce, lo so perché sento la forza del suo sguardo che mi penetra il sesso e come se fosse una penetrazione reale la mia vulva si contrae e sento l’afrore dei miei stessi umori, lo stesso del quale s’inebria lui. Non siamo umani in questo momento, l’animale femmina ha lanciato il segnale che è disposta all’accoppiamento.
Ci alziamo, siamo l’uno di fronte all’altra, non mi chiama mamma, usa il mio nome di battesimo per dirmi:
«Xena, non ce la faccio più a resistere, perdonami»!
«Di cosa? Siamo in due a volerlo».
«Ma io sto quasi per esplodere. E tu ci resterai male».
«Non preoccuparti, adesso è il tuo momento, poi penseremo a te».
Sono io a baciarlo mentre le sue mani s’impadroniscono dei seni, andando alla ricerca dei capezzoli».
«Succhiali tesoro». Intano gli spingo in basso i boxer ed il suo sesso esasperato scatta come un giocattolo a molla. La sua bocca e la sua lingua sono bollenti, frenetiche, e divorano i miei seni, tengo il pene che ha teso, caldo, pulsante, nella mano e lo massaggio accarezzandomi contemporaneamente la vagina con il glande. Avverto l’avvicinarmi d’un orgasmo troppo a lungo dimenticato, il membro nel mio palmo carezzevole sussulta, deflagra e la sua eiaculazione veemente, copiosa, calda, inonda il mio clitoride gratificandomi d’un godimento con un’intensità che non avevo mai provato.
Rimaniamo abbracciati ansanti, poi m’inginocchio e lo pulisco con la bocca mentre il frutto del suo piacere mi cola fra le cosce. Vado in bagno, mi segue, allora decidiamo d’entrare insieme nella vasca e intanto che l’acqua sale, ci guardiamo con complicità, sorrido poi allungo un piede per ricominciare a giocare. [email protected]
 
Top
0 replies since 24/6/2009, 11:20   5739 views
  Share