Lega A: Sangarè, l'uomo dei tre continenti

« Older   Newer »
  Share  
|AS|Ronaldo97
view post Posted on 25/9/2009, 18:21




L'intervista Cuore in Africa, nato in Francia, ha studiato basket negli Usa: e ora ha scelto Ferrara
Daniela Modonesi Ferrara Un giorno spiegherà anche a loro cosa ha costruito per sé e per gli altri in ventisei anni di vita rimbalzata su tre continenti. Ma per ora, Alicia e Ibrahim dieci anni in due è meglio lasciarli alle loro occupazioni: come guardare "Heidi" alla tivù, andare a letto presto e pensare a domattina, quando mamma Clarisse li accompagnerà nella nuova scuola. E mentre i baby Sangarè dormono, il loro papà Yohann, con l'aiuto di tre lingue e di un Mac zeppo di foto, e sotto lo sguardo severo di alcuni brani del Corano incorniciati alla parete, inizia a raccontare una storia. Quella di un ragazzino gracile, nato a Poissy ma con l'Africa a innervargli Dna, cuore e pensieri. Folgorato da Michael Jordan e segnato dal mantra "Never forget where you come from". Niente santini, per carità. Soltanto una combo guard di 195 cm. votata agli assist. Specie se è per mandare a canestro chi è nato nel posto sbagliato. Quando avevi l'età dei tuoi figli, il basket per te non esisteva... Giocavo a calcio con i miei fratelli maggiori, Yannick e Cedrick. Anche adesso, ogni tanto, do qualche calcio e tifo Milan, un derby col presidente Mascellani, interista Come hai capito che quello non era il tuo sport? Tutta colpa di Michael Jordan e Reggie Miller! Li ammiravo e volevo diventare come loro. Andavo spesso a vedere alcuni amici che giocavano a basket e un giorno la loro allenatrice mi invitò a provare. E non c'è più stata storia... Vuoi mettere? E poi, in inverno fa troppo freddo per giocare a calcio! Quindi, a 11 anni, ho esordito nel Bouffemont, dove ho conosciuto Babacar Sy. Dopo avermi visto in azione, mi disse: "Giochi come un americano". E mi propose un campus negli Usa, aiutandomi anche a comprarmi il biglietto aereo:i miei non avevano abbastanza soldi. Come presero la tua partenza? Si sentivano dire da tutte le parti: "Siete matti a mandare in America un bimbo così piccolo!". Considera che allora ero magrolino, sembravo indifeso. Ma i miei genitori sapevano che in Francia non avrei mai avuto un'occasione del genere e che avrei finito col trascurare la scuola. Un po' come i miei fratelli, più scapestrati di me. Così, a 15 anni, sono approdato alla High School di Burlington, New Jersey. L'impatto con la patria di Jordan è stato traumatico? A parte qualche difficoltà con l'inglese, ho imparato molto. Ho scoperto un modo di giocare diverso: più veloce, fisico, spettacolare. Più centrato sull'uno-contro-uno che sulla squadra. Ed è stata una fortuna, visto che le guardie dei club europei provengono tutte da là. Facevi una vita da quindicenne? No, ero concentratissimo sul basket. Soprattutto non volevo deludere i genitori. Prima dell'allenamento coi compagni, Babacar mi faceva lavorare già alle 7 del mattino. È stato lui a coinvolgerti nell'associazione "Giving Back"? Sì, l'ha fondata e oggi io ne sono il vicepresidente. In quel periodo, stava aprendo una scuola a Dakar, la "Babacar Sy Basketball School". La frequentai in estate, con l'idea di tornare negli Usa, finire la scuola e sostenere l'esame per il college. Eri mai andato in Africa? No, ed è stato scioccante. La terra che ho conosciuto io era la stessa dei racconti di mio padre, partito dal Mali a 19 anni: niente soldi, ma persone più felici che a Parigi, dove ci si lamenta sempre di tutto. In Senegal, ho capito che cos'è la vita vera e ho sentito che dovevo mettermi in gioco. Alla scuola di Babacar mancava tutto, dalle uniformi alle scarpe, e mi sono chiesto: "Se diventerò professionista, cosa potrò fare per questa gente?" E che risposta ti sei dato? L'ho trovata con "Giving Back". Che aiuta i giovani africani a costruirsi un futuro fuori dal loro Paese. Allenandoli e dando loro un'istruzione con cui poter accedere a una scuola superiore o all'università, in Europa o in America. In seguito, sei tornato negli Usa? Sì, a Las Vegas, per la Summer League. Ma ho subito una distorsione al ginocchio e non mi hanno selezionato. Un po' per la delusione e un po' per l'11 settembre, ho deciso di tornare in Francia, dai miei. Si erano trasferiti a Orleans, a cinque minuti dalla casa di Clarisse. Che di lì a due anni avrei sposato. E col basket? Ho esordito nel professionismo in Spagna, al Ferrol, per poi passare al Valladolid, in Acb, a Melilla e a La Palma, in Leb1. Finché ho avuto l'opportunità di andare a Lione, al Villeurbanne. Volevo tornare in Francia, per stare più vicino a mia moglie, che aveva appena avuto Alicia, e per giocare finalmente davanti alla mia famiglia. Il progetto "Giving Back" andava avanti? Sì. Incontrai il presidente di Adidas Francia, con cui avevo un contratto, e gli portai una lista di ciò che mi serviva per la mia scuola in Mali, la "Yohann Sangarè Basketball School" di Bamako. Mi diede magliette, canottiere, 50 paia di scarpe e di pantaloncini. I palloni, invece, li comprai coi miei soldi. Con la recessione, gli sponsor hanno stretto i cordoni? Ci danno meno aiuti. E noi cerchiamo di compensare organizzando eventi come il "Charity Africa Tour 2009", in cui abbiamo coinvolto una decina di professionisti francesi. Ma il cibo, i medicinali, l'iscrizione alle scuole li finanziamo personalmente Babacar ed io. Con risultati tangibili? Lo scorso anno, nella mia scuola c'erano quattro giocatori scappati dalla guerra civile in Congo e altri provenienti da Niger, Senegal, Mali. Molti di loro, adesso, sono in America, pronti per il college. E nelle loro lettere mi scrivono: "You really changed my life". Che tipo di giocatore sei? Direi un buon difensore, ma soprattutto un regista. Inizio sempre la gara con l'idea di far giocare bene i compagni, poi prendo l'iniziativa. Ferrara e il Basket Club: quanto ti giochi della tua carriera? Vengo da una stagione frustrante, perchè non ero mai rimasto così tanto in panchina come all'Armani. E ora riparto da una società altamente professionale, come prova l'escalation degli ultimi tempi. Per me, è un nuovo inizio e voglio lavorare bene. Per gratitudine verso chi mi ha dato fiducia e per i miei figli. Che mi hanno insegnato a fare meglio ogni giorno e a non avere paura di niente
 
Top
LDT
view post Posted on 28/9/2009, 17:36




Ottimo Play, soprattutto fisicamente.
 
Top
1 replies since 25/9/2009, 18:21   198 views
  Share